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21 febbraio 2016 L’ecologia non è verde, o almeno, non è soltanto verde. Se questo colore rimanda alla natura ecosistemica nella sua esclusiva dimensione vegetativa, allora non lo si può accostare all’idea di ecologia. La dimensione ecologica rinvia in prima istanza all’esperienza di un mondo che viene percepito come orizzonte inclusivo, internamente diversificato e quindi mai del tutto riducibile a uno solo dei suoi elementi costitutivi. È necessario ricorrere ad altri colori o probabilmente a infinite variazioni cromatiche per dischiudere i significati dell’ecologico. Il verde degli alberi e dei prati non basta, occorre pensare a colori diversi, più carnali e sanguigni, che sappiano rendere la vivida convivialità di un’ecologia umana, fatta di contesti sociali, di aggregazioni etniche e di comunità locali. Non possiamo permetterci di stancare così sfrontatamente una parola a tal punto da limitarne l’ambito di azione per finire, in maniera vile, con l’anestetizzarla definitivamente. Ecco perché l’ecologia non è quella dottrina o visione del mondo predicata dagli ambientalisti o per lo meno non è soltanto questo. Forse sono maturi i tempi per poterci dire, con la giusta spregiudicatezza profetica, che l’ecologia è al contempo una categoria pienamente politica e densamente teologica. Probabilmente non sbaglieremmo nell’affermare che questa sarebbe tutt’oggi una prospettiva condivisa da Alexander Langer. Ricordarlo, in occasione del 70° della nascita (avvenuta il 22 febbraio 1946), può rappresentare molto più di un semplice gesto commemorativo: può essere infatti un atto pratico e riflessivo in grado di recuperare e riproporre la forza trasformante della sua idea di conversione ecologica. Era plurilingue per natura e vocazione Langer: sudtirolese di nascita, non solo accoglie e porta in sé la diversità degli idiomi e delle inflessioni che arricchiscono la sua terra d’origine, ma riesce a promuovere nell’arco di una vita il pluralismo dei valori vernacolari, la sconfinata e rassicurante ricchezza dei linguaggi, delle differenti formule espressive con cui accedere al mondo. In questo aveva lucidamente interiorizzato la prospettiva del suo ispiratore e maestro Ivan Illich, per il quale lo spazio 'vernacolare' rappresentava la dimensione 'naturale' dell’uomo. Non dunque un particolarismo etnico e culturale dalle prospettive asfittiche ed escludenti, ma lo spazio caldo e inclusivo degli usi comuni, liberi e gratuiti, dei servizi mutuamente offerti e volontariamente condivisi: questa è la socialità che Langer ha saputo promuovere e difendere anche nella sua esperienza politica in qualità di europarlamentare e di fondatore ed esponente della Federazione dei Verdi. Ecologia è dunque per Langer molto più che il semplice scenario verde dell’umanità; ecologico non è il fondale scenico delle singole azioni umane o delle imprese dei popoli. Ecologica è piuttosto la socialità stessa, ovvero le forme e i modi pratici assunti dalle imprese comuni di un determinato contesto umano e sociale. Pertanto la conversione ecologica non è l’estroflessione delle nostre attenzioni e cure nei riguardi del mondo esterno e naturale, ma il convergere verso una nuova organizzazione sociale. Questo mutamento, quest’inversione radicale è questione culturale e civile, prima che politica; Langer lo esprime chiaramente in un intervento del 1994 dal titolo «La conversione ecologica potrà affermarsi solo se apparirà socialmente desiderabile»: «Sinora si è agito all’insegna del motto olimpico citius, altius, fortius (più veloce, più alto, più forte), che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quintessenza della nostra civiltà, dove l’agonismo e la competizione non sono la nobilitazione sportiva di occasioni di festa, bensì la norma quotidiana e onnipervadente. Se non si radica una concezione alternativa, che potremmo forse sintetizzare, al contrario, in lentius, profundius, suavius (più lento, più profondo, più dolce), e non si cerca in quella prospettiva un nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall’essere ostinatamente osteggiato, eluso o semplicemente disatteso». La conversione ecologica proposta da Langer potrebbe dialogare fecondamente con il modello di ecologia integrale emergente nell’enciclica Laudato si’. La cura della casa comune non si esaurisce infatti nella singolarità dei gesti messi in atto per la tutela di un ambiente che continuiamo a considerare unicamente esterno. L’ambiente umano è integrale, per questo motivo non semplicemente accoglie attori che si muovono al suo interno, ma crea e costituisce soggetti nella misura in cui allestisce contesti sociali di cooperazione e permette imprese comuni, ovvero azioni e opere che valgono perché possono essere fatte solo stando insieme. È l’ispirazione politica e teologica che ha animato la voce e l’opera di Langer, voce che si è fatta monito deciso e risoluto ma anche – sul finire dei suoi giorni – bisbiglio malinconico e sommesso. La sua è stata anche la voce di un profeta dalle spalle curve come quelle di Giona, figura che amava profondamente al punto di renderla oggetto di uno dei suoi scritti più preziosi, dedicato non a caso alla memoria di don Tonino Bello: «Ai vecchi abitanti di Ninive se ne sono aggiunti tanti nuovi, la città è ancora troppo divisa e contrapposta, mancano spazi comuni, occasioni comuni di incontro e di azione tra persone di diversa provenienza».
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